mercoledì 30 gennaio 2013

coming soon


Prossimamente qui

Il caffè degli artisti

di

Ginevra Joyceline & Petra Cherubini



sabato 26 gennaio 2013

venerdì 25 gennaio 2013

omaggio a Roy Lichtenstein...continua...


°°°Adoro il suo giallo [uno dei colori, insieme al verde, che amo] e la ricerca estetica: incessante. Ma il gioco di colori , credo, non deve ingannare, non è allegria. I grandi occhi, gli oggetti disposti in un ordine incomprensibile, il fuori scala lasciano percepire un'inquietudine di fondo. 


°°°Concordo con l'analisi...inquietudine...tanta...bellezza e l'intenzione di catturarti con il colore...come a volerti portare dentro il quadro, ed il giallo con la sua luce ci riesce perfettamente. [Arianna Cappetti]     

Lichtstein in his studio





Agapē Agape

Disegno ispirato all'opera di Gaddis nato dalla fantasia di Greg Williard

Ed ecco che mi capita tra le mani la versione italiana di Agapē Agape, uscito in Italia nel 2011 con il titolo L'agonia dell'agape,  quinta ed ultima fatica di William Gaddis.  Decido di acquistarlo, rapita da quella dfficoltà che la sua lettura può implicare.  Difficolta' che dipende da quanto siamo disposti a farci trascinare da un testo che fugge da tutte le parti come un fiume dai molti affluenti. 
La storia è quella di uno scrittore ormai anziano, alter ego di Gaddis stesso, che giace in un letto d'ospedale circondato dagli appunti di una vita, e tormentato dal bisogno di "spiegare tutto...riordinare e sistemare prima che tutto crolli".  Il nemico è l'entropia che divora il suo corpo in disfacimento e che al contempo "sta portando al collasso di tutto, dei significati, del linguaggio, del valore dell'arte".  E' il monologo interiore, travolgente e disperato,  del protagonista, una "flebile voce che tenta di salvare il tutto" e che contempla la sua [di Gaddis] idea di agape - piccola fiamma dura come una gemma. 
Penso che questo possa bastare, il resto, per chi vorrà leggerlo, è letteratura, degna veramente del suo creatore, un vero guru dell'avanguardia.



William Gaddis, autoritratto

I feel like part of the vanishing breed that thinks a writer should be read and not heard, let alone seen.
I think this is because there seems so often today to be a tendency to put the person in the place of his or her work, to turn the creative artist into a performing one, to find what a writer says about writing sohow more valid, or more real, than the write itself.

[WG]


°°°

William Gaddis (1922-1998) è stato uno dei più grandi scrittori americani del XX secolo.  In una lettera del 1962, scriveva a un amico che la sua "ossessione per la nostra società sempre più controllata e la crescente meccanizzazione delle arti" avrebbe potuto sfociare in una nuova opera.  E' L'agonia dell'agape [pubblicato in Italia da Alet, 2011, con traduzione di Fabio Zucchella], un'impresa che accompagnerà lo scrittore per tutta la vita e che verrà data alla stampa solo dopo la sua morte, per volontà dello stesso Gaddis.





mercoledì 23 gennaio 2013

ho smesso di contare le volte in cui...

Ho smesso di contare le volte in cui, arrivata alla seconda riga, ho cancellato e riscritto tutto nuovamente. Cercavo un inizio ad effetto, qualcosa di poetico e vero allo stesso tempo, qualcosa di grandioso, ma agli occhi. Non ci sono riuscita. Poi ho capito, ricordando ciò che non avevo mai saputo: che per i grandi cuori che muoiono nel corpo ma che continuano a battere nel respiro della notte, non ci sono canoni o bellezze regolari, armonie esteriori, ma tuoni e temporali devastanti che portano ad illuminare un fiore, nascosto, di struggente bellezza.

[Frida Kahlo a Diego Rivera]




domenica 20 gennaio 2013

il mondo di Lichtenstein 1 | Quei fumetti e quei puntini che hanno fatto pop


[omaggio a Picasso]


 Portrait of a woman (1976) 
una delle tele con cui Lichtenstein rivisita Picasso in chiave pop. 
 La violenza dei colori, la durezza dei tratti, ricordano l'estetica espressionista.



da febbraio in mostra al Tate Modern





Omaggio a Théo Angelopoulos, tra attualità e mito [ad un anno dalla morte]




The history of the Balkans may well be confusing, 
yet there is something which has risen from the South 
 What I mean is that there exists a Mediterranean culture. 
Greece is the Balkans, but the Mediterranean as well, 
and as much (sic) inherits from both of these [...] 
which the Italians, the Spanish, the French also inherit [. . .]  
And in this or that way, whether or not 
because our blood mingled with theirs, 
it circulates as a cultural memory[ . . .] 

Théo Angelopoulos (“Rigas Feraios’ Map” 17)  


E' stato senza dubbio il maggiore e più noto a livello internazionale tra gli autori greci, un regista-poeta in equilibrio tra politica e mito, cultura marxista ed epica.  Classe 1935, si laurea in Legge ad Atene per poi trasferirsi a Parigi.  Scopo: approfondire gli studi di critica cinematografica.  Tornato in patria, in seguito all'avvento della dittatura dei colonnelli si rifugia di nuovo nella capitale francese per fare il cineasta.  Nel 1970 esce Ricostruzione di un delitto, thriller metafisico e raggelato che contiene in nuce già tutti gli elementi della sua poetica:  la narrazione straniata, una lentezza che si concretizza nel ricorso al piano sequenza (un modo di girare senza stacchi, attraverso lunghe scene che evocano una narrazione non cronologica del tempo,  inteso in joyciano fluire); e, ancora, le citazioni teatrali che rimandano all'attualità e alla situazione politica del Paese. In Italia lo consacrano i grandi festival come Venezia e una serie di opere da Il volo (con  Marcello Mastroianni) a Lo sguardo di Ulisse (pensato per Gian Maria Volontè, che morì poco prima delle riprese, sostituito da Harvey Keitel), fino a L'eternità e un giorno, protagonista Bruno Ganz, premiato con la Palma d'oro a Cannes nel 1998.  L'ultimo lavoro del regista-poeta è La polvere del tempo, presentato alla Berlinale nel 2009.  E ne conferma la straordinaria sensibilità visiva e soprattutto l'attenzione del paesaggio, che è quello rurale e aspro della Grecia continentale e isolana.  L'Egeo, piccolo ma turbolento, è stato teatro di grandi battaglie navali.  Nella finzione dello schermo, ma non sempre nella geografia dei luoghi scelti per girare, il territorio greco è stato spesso evocato.  Non solo nel peplum (film in costume ellenico), ma anche nel cinema d'autore.  Gli esempi più illustri sono Edipo Re (1967) e Medea (1970) di Pasolini.  Senza dimenticare Woody Allen, che in  La dea dell'amore (1995) introduce un coro da tragedia e commento dell'azione.
Quando gli chiedevano perché facesse film, Angelopoulos rispondeva citando Borges: Per me, per i miei amici e per ammorbidire il passaggio del tempo.
Circa un anno fa,  mentre si dirigeva sulle scene del suo nuovo film (presso il porto del Pireo), il regista-poeta è stato colpito da una moto e ferito a morte.  
Ed  ancora una volta l' Egeo diventa il grande  protagonista e testimone infinito del suo  tempo senza fine, superando, stavolta, quel filo sottile e morbido che, improvvisamente, lo ha catapultato oltre.

Ricordando Georgios Seferis:

Abbiamo superato  il mare 
che ci porta a un altro mare







sabato 19 gennaio 2013

un'ombra fuggitiva di piacere


Itaca

"Se per Itaca volgi il tuo viaggio, fa' voti che ti sia lunga la vita, e colma di vicende e conoscenze", scriveva in demotikì, la lingua dei popolani, Costantinos Kavafis, il grande poeta ellenico vissuto tra il 1863 e il 1933.  Nei suoi brevi componimenti, che non superavano i quaranta versi, era in grado di evocare con straordinaria forza il mondo di ieri: le bettole di città, i caffè delle isole, la musica dell'acqua sulla battigia, le apparizioni di marinai, facchini, prostituti e altri abitanti del porto.  Ma evocava soprattutto il passare del tempo e la decadenza dei corpi, l'incertezza del desiderio e la fugacità del piacere.  In Un'ombra fuggitiva di piacere, pubblicato da Adelphi, Guido Ceronetti ci offre la sua inimitabile versione di trentasette tra le centocinquantaquattro poesie che costituiscono l'intera produzione di Kavafis.








io sono Christina Rossetti

Robert Ashwin Maynard, 'Christina Rossetti' 
incisione su disegno a matita di Dante Gabriel Rossetti

Il cinque di dicembre Christina Rossetti celebrerà il suo centenario, o per essere più esatti saremo noi a celebrarlo;  il che forse non sarà di suo gradimento, perché era una donna estremamente timida, e il fatto di far parlare di sé, come certamente dovremo fare, le avrebbe dato molto fastidio.  Tuttavia ciò è inevitabile;  i centenari sono inesorabili;  studieremo i suoi ritratti, [...] e frugheremo nei cassetti della sua scrivania, in gran parte vuoti.  Cominciamo dalla biografia, poiché non c'è niente di più divertente.  Come ognuno sa, il fascino di leggere biografie è irresistibile.
Siamo dunque a Hallam Street, Portland Place, verso il 1830; ecco i Rossetti, una famiglia italiana composta di padre, madre e quattro bambini piccoli.  La strada non era elegante, la casa piuttosto povera; ma la povertà non importava, poiché, essendo stranieri, i Rossetti si curavano poco dei costumi e delle convenzioni della classe media britannica.  Facevano una vita ritirata, vestivano come volevano, visitavano altri esuli italiani, [...] e sbarcavano il lunario insegnando, scrivendo e facendo altri lavori saltuari.  A poco a poco Christina si era distaccata dal nucleo familiare.  Era una ragazza tranquilla, propensa all'osservazione, con già in testa tracciato il corso della propria vita - sarebbe stata una scrittrice - ma allo stesso tempo in grado di ammirare la superiore competenza dei membri anziani della famiglia. [...] Odiava le feste.  Vestiva come le pareva.  Le piacevano gli amici di suo fratello e quelle piccole adunanze di giovani artisti e poeti che volevano riformare il mondo, cosa che la divertiva alquanto, perché sebbene fosse così tranquilla, era anche di gusti capricciosi e stravaganti, e si divertiva a prendere in giro la gente pedante ed egoisticamente solenne.  E benché volesse diventare una poetessa, non aveva granché della vanità degli altri giovani poeti; i suoi versi sembravano formarsi interi e compiuti nella sua testa, e quando doveva  parlare di loro diceva ciò che le capitava. [...]
Se la guardiamo più da vicino, vedremo che già si era formato qualcosa di oscuro e duro, come un nocciolo, nel cuore della persona di Christina.
Era la religione, naturalmente.  Già da piccola, la sua fede regolava la sua vita fin nei minimi particolari.  Essa le aveva insegnato che gli scacchi erano perversi, ma che il whist e il cribbage non possono nuocere.  Ma essa interveniva anche nei problemi più importanti del suo cuore. 
C'era un giovane pittore chiamato James Collinson; e lei amava James Collinson e lui amava lei; ma Collinson era cattolico, e Christina lo rifiutò.  Per compiacerla, lui divenne membro della chiesa anglicana, e allora lei lo accettò.  Ma siccome era un uomo indeciso, non seppe conservare la nuova fede e ritornò a Roma. E Christina, benché con il cuore infranto e la vita per sempre oscurata, , ruppe il fidanzamento.  Qualche anno dopo si presenta un'altra prospettiva di felicità, a quanto sembra più fondata.  Charles Cayley chiede la sua mano.  Ma ahimè, quest'uomo astratto ed erudito che percorreva il mondo in uno stato di scompigliata distrazione, e traduceva i Vangeli in irochese, e nelle riunioni chiedeva alle signori eleganti "se si interessavano alla corrente del Golfo", e come regalo offrì a Christina un topo di mare conservato nell'alcol, era, naturalmente, un libero pensatore.  E Christina dovette rifiutare anche lui.  Non voleva sposare uno scettico.  Ella che prediligeva gli "ottusi e pelosi" - i vombati, rospi e sorci della terra - e chiamava Charles Cayley "il mio più cieco avvoltoio, la mia talpa speciale", non ammetteva talpe, vombati, avvoltoi o signori Cayley nel suo paradiso.  
E così possiamo andare avanti, guardando e ascoltando per sempre.  Non ci sono limiti alla stranezza, al divertimento e alla stravaganza racchiusi nella cisterna.  Ma proprio quando incominciamo a domandarci quale, fra le crepe di questo straordinario territorio, vogliamo ora esplorare, interviene la figura principale.  E' come se un pesce, i cui giri inconsapevoli abbiamo osservato tra le alghe intorno alle rocce, si gettasse ad un tratto contro il vetro e lo infrangesse.  Christina aveva accettato l'invito di una certa signora Virtue Tebbs.  Non si sa bene cosa fosse successo lì, forse avranno detto qualcosa, di carattere salottiero e frivolo.  A ogni modo,

improvvisamente, si alzò dalla sedia e camminò fino al centro della sala una donnetta vestita di nero, la quale annunciò solennemente - Io sono Christina Rossetti - Dopodiché ritornò alla sedia.

Con queste parole il vetro è infranto.  Sì (sembra dire), sono un poeta.  Voi che fate finta di onorare il mio centenario, non siete meglio dei frivoli invitati dalla signora Tebbs.  Eccovi frugare tra le trivialità, aprire i cassetti della mia scrivania, prendere in giro i miei pretendenti, quando la sola cosa che io voglio far conoscere è questa.  Guardate questo libretto verde.  E' una copia delle mie opere complete.  Costa quattro scellini e mezzo.  leggetelo. [...]
Tu eri un poeta istintivo.  Vedevi sempre il mondo dallo stesso punto di vista. Gli anni e il contatto intellettuale con gli uomini e con i libri non ebbero su di te alcuna influenza.  Ignoravi con cura qualsiasi libro potesse nuocere alla tua fede, così come ignoravi qualunque essere che potesse nuocere ai tuoi istinti.  Forse avevi ragione.  Il tuo istinto era così sicuro, così diretto, così intenso da produrre poesie che suonano nell'orecchio come una vera musica, come una melodia di Mozart o un'aria di Gluck. Eppure, nonostante tutta la tua simmetria, il tuo canto era complesso.  Quando toccavi la tua arpa,  suonavano insieme molte corde.  Come tutti gli istintivi, avevi un senso acuto della bellezza visiva di questo mondo.  Le tue poesie sono piene di polvere d'oro, di teste di velluto, di armature metalliche. [...]
E ciononostante, non eri affatto una santa.  Prendevi in giro, facevi gli sberleffi.  Avevi dichiarato guerra alla pedanteria e alla simulazione.  Pur essendo modesta, eri drastica, sicura del tuo talento, convinta della tua visione.  Una mano ferma portava i tuoi versi, un orecchio acuto metteva alla prova la loro musica. [...] In una parola eri un'artista. E perciò rimaneva sempre aperto un sentiero, perché da esso potesse giungere quel fiero visitatore che di tanto in tanto arrivava e fondeva i tuoi versi in quell'insieme indissolubile che nessuna mano può spezzare:

Portatemi i papaveri traboccanti di sogno
e di morte, e quell'edera che inghirlandando soffoca
e le primule che si aprono alla luna

Infatti è così strano l'ordine delle cose, così grande il miracolo della poesia, che alcune di queste liriche che tu scrivevi nella tua stanzetta ritirata staranno ancora in piedi, nella loro perfetta simmetria, quando il monumento al principe consorte sarà polvere e rovine. [...]  Quando Torrington Square sarà forse uno scoglio di corallo e i pesci entreranno ed usciranno là dove si trovavano le finestre della tua stanza,  o forse la foresta si sarà impossessata di quei pavimenti, e il vombato e il tasso passeggeranno su piedi morbidi e incerti, fra la verde boscaglia intrecciata all'inferriata del tuo giardinetto.  Considerando tutto ciò e per tornare alla tua biografia, se io fossi stata presente quando la signora Tebbs offriva il suo tè, e se una donna anziana e bassa vestita di nero si fosse alzata e sporta fino in mezzo alla sala, sono certa che avrei commesso qualche indiscrezione, per esempio avrei rotto un tagliacarte o una tazzina, nell'increscioso ardore dell'ammirazione, sentendo quella donna che diceva - Io sono Christina Rossetti -

Virginia Woolf, da In Between, traduzione mia, su adattamento dell'originale di M.A. Saracino, Einaudi, Torino 1995


Emma Florence Harrison - A Birthday
An illustration to Christina Rossetti’s poem ‘A Birthday’.




martedì 15 gennaio 2013

filosofando su presunzione | arroganza | perpetua menzogna


Penso ai veri sconfitti di quel minuetto sceneggiato . E mentre da parte di entrambi si affollano i torti  raccattati per servire un briciolo di ragione sufficiente, mentre le analisi frugano, ancor più dilatandola, tra gli umori e i dettagli di quella pornografia desolante, esibita nella sua totale falsità e che per ciò stesso vuole spacciarsi come naturale e spontanea, mentre come in uno specchio riflesso l’inganno riproduce altro inganno, il mio pensiero si rivolge  al loro perfido ghigno. All’arroganza che mostrano nel reprimere i nostri desideri e le nostre libere passioni; alla presunzione che sfoggiano nel surrogare il nostro gusto e le nostre percezioni. Alla loro volgare imposizione di non-scelte. Al loro cibarsi, rituale e ossessivo, di corpi e pensieri senza alcuna gioia. Di sconfitta, ancora una volta, c’è solo l’intelligenza...e la bellezza.  E allora non resta altro che ridere!
[il mio 'ridente io' sul Cavaliere da Santoro...etc etc...]







Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

George Orwell, La fattoria degli animali



sabato 12 gennaio 2013

senzatitolo

ph Web
 
 
passo svelto | guardingo

grovigli e crepitii di bulimiche emozioni
scena in digrignare
[lasciali digrignar pur a loro senno * oh Dante!]
parole deformanti di plastica
che come serpi
si insinuano nella pancia del mondo

soggetto/oggetto diversamente generato
deleterio | asfittico
incapace di sentire il calore del fiato
sputato addosso
nel tentativo di catturare oro in parola

perpetuo accadere
di tempi sempre uguali
passati remoti | futuri anteriori
|imperfetti in perfetta cacofonia|

ròsi corrosi avvelenati
nella consapevolezza
del propagarsi dell'errore






giovedì 10 gennaio 2013

lo storytelling di Leslie Marmon Silko



"Sono cresciuta nel pueblo di Laguna. Sono di discendenza mista, ma quello che so è Laguna. Questo luogo da cui provengo è tutto quello che sono come scrittrice e come essere umano". Così Leslie Marmon Silko, voce della letteratura americana aborigena che, attraverso alcune scarne note, afferma il suo profondo radicamento nella cultura tradizionale pueblo.
Ultima etnia a far sentire la propria voce nel concerto della letteratura americana, gli Indiani hanno ormai prodotto un insieme di opere poste al crocevia tra cultura orale e letteratura scritta. Si tratta di una minoranza che, utilizzando un linguaggio universale, parla di un’esperienza di depaysement, di spaesamento e, di contro, del tentativo di restaurare l’armonia perduta. A partire dagli anni Sessanta si ha un’impetuosa affermazione di giovani scrittori come Norman Scott Momaday, James Welch e la stessa Leslie Marmon Silko che, con  le loro opere, contribuirono a delineare e la forza di una tradizione e il diritto alla sopravvivenza di una cultura.
All’interno di questa tradizione lo storytelling, la narrazione orale, costituisce un fatto di straordinaria rilevanza. Esso ricorda, fissa e trasmette il patrimonio culturale da una generazione all’altra,  è momento di aggregazione e conoscenza, appropiazione rispettosa e amorevole del lingua e, insieme, di ristabilimento di quell’identità tribale che, dopo l’impatto con il mondo bianco, era andata dispersa. La scrittura è adattata di volta in volta alla crazione orale conseravandone la funzione, qualla di stabilire un’unione tra l’individuo e la totalità che lo circonda. La Silko trasmette il proprio passato e la propria cultura in maniera autentica, ossia, nel suo senso, magica, in contrasto con le interpretazioni di tutta una letteratura sugli indiani scritta da non indiani. Passato sentito non come nostalgia, ma come presente in continua e spesso caotica trasformazione.
Simbolo unificante di tutti i racconti è la Madre Terra, colei che crea, con tutti gli elementi che la compongono e che rende salda l’unione di questo popolo in a sense of place. La ninnananna che segue, la Silko non ricordava se l’avesse mai cantata ai propri figli, sapeva però che la nonna l’aveva cantata e così pure sua madre:

La Terra è tua madre,
e lei ti abbraccia.
Il cielo è tuo padre,
e lui ti protegge.
Dormi,
dormi,
Arcobaleno è tua sorella,
e lei ti ama.
I venti sono tuoi fratelli,
e loro cantano per te.

Dormi,
dormi,
Noi siamo sempre insieme
Noi siamo sempre insieme
Mai ci fu un’ora
in cui questo
non fu così.

[PB]

Leslie Marmon Silko, Raccontare, La Salamandra, 1983




mercoledì 9 gennaio 2013

meta a metà


Fu grazie ad una foto della Woodman postata sulla mia bacheca facebookiana - in seguito ad un mio pezzo a cui la foto era correlata, pubblicato su L'Olandese Volante, allora diretto dal Filosofo Marco Baldino - che Carlotta ed io abbiamo iniziato questa intensa amicizia e adesso anche collaborazione.  
Ci sono accadimenti nella vita di ognuno di noi che non succedono mai per caso, c'è sempre, a mio avviso, un disegno più complesso che ne delinea il percorso.  Così è stato tra me e Carlotta, entrambe accomunate da  spirito artistico ed umanitario, entrambe assetate di Bello, Vero [alla maniera Kierkegaardiana], Giusto, entrambe imperfette e felici di esserlo, senza presunzione ed arroganza gratuite! Quel filo sottile e magnetico chiamato empatia, si è intercalato tra di noi, rendendoci cooperative e desiderose di andare avanti.  
Insieme abbiamo tanti progetti. Tutti al femminile. Insieme costruiremo molto! Per noi stesse e  per chi avrà voglia di seguirci...in questa nuova avventura!
PB






martedì 8 gennaio 2013

stigmate VI [al di là del bene e del mare...]


Tutto da ascoltare...e da riflettere|riflettersi addosso...questo bellissimo CD di Antonio Dambrosio, eccellente rappresentante della cultura partenopea.  Segue la  'sonora' recensione  della mia carissima amica, e da oggi collaboratrice,  Carlotta Zanobini, Presidente della Lotte Werther Onlus



"Al di là del bene e del mare”…direi… al di là dell’immediata associazione con l’opera di Nietzsche che appunto si limita ad un’apparenza esclusivamente sonora, il gioco di parole caratterizza i lavori di Antonio Dambrosio, oltre a questo ricordo: “RE-MURGIA” oppure “MO-STO”. Parafrasando forse l’autore ci vuol suggerire di prestare una maggiore attenzione al contenuto piuttosto che al contenitore!?  Non so. So che ascoltando i testi di questo ultimo CD trovo molto materiale su cui riflettere. Lasciare tutto: la propria terra i propri affetti, i propri costumi e soprattutto la propria dignità per barattarla con la ricerca non di un “lavoro” oltremare, ma con la “speranza” di esso! Razionalmente? Una follia! Realmente? L’unica possibilità di reagire all’ingordigia della morte, all’avanzare del nulla che miete vittime giorno dopo giorno. Ecco come il “tutto” da lasciare, che per noi è sempre “troppo”, in alcune parti del mondo non va oltre all’immagine del proprio volto o a quella dei propri cari. Non è semplice, nella condizione in cui viviamo, immaginare certe realtà. E metterle in musica??!! E cantarle??!! I testi sono molto incisivi, feroci a volte, come intensi sono i ritmi che li accompagnano, velati dal pianto del violino o dal grido del sax. Splendida la voce di Connie Valentini, affatto semplice dar voce ai milioni di disastrati destini!! Complimenti Antonio, per la tematica scelta, per come tu l’hai “sentita” e per come ce l’hai trascritta in musica!

Carlotta Zanobini



domenica 6 gennaio 2013

vorrei




Vorrei conoscer l' odore del tuo paese, 
camminare di casa nel tuo giardino, 
respirare nell' aria sale e maggese, 
gli aromi della tua salvia e del rosmarino. 
Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero 
parlando con me del tempo e dei giorni andati, 
vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero, 
come se amici fossimo sempre stati. 
Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci 
e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri, 
le strisce delle lumache nei loro gusci, 
capire tutti gli sguardi dietro agli scuri 

e lo vorrei 
perchè non sono quando non ci sei 
e resto solo coi pensieri miei ed io... 

Vorrei con te da solo sempre viaggiare, 
scoprire quello che intorno c'è da scoprire 
per raccontarti e poi farmi raccontare 
il senso d' un rabbuiarsi e del tuo gioire; 
vorrei tornare nei posti dove son stato, 
spiegarti di quanto tutto sia poi diverso 
e per farmi da te spiegare cos'è cambiato 
e quale sapore nuovo abbia l' universo. 
Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona 
o il mare di una remota spiaggia cubana 
o un greppe dell' Appennino dove risuona 
fra gli alberi un' usata e semplice tramontana 

e lo vorrei 
perchè non sono quando non ci sei 
e resto solo coi pensieri miei ed io... 

Vorrei restare per sempre in un posto solo 
per ascoltare il suono del tuo parlare 
e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo 
impliciti dentro al semplice tuo camminare 
e restare in silenzio al suono della tua voce 
o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso 
dimenticando il tempo troppo veloce 
o nascondere in due sciocchezze che son commosso. 
Vorrei cantare il canto delle tue mani, 
giocare con te un eterno gioco proibito 
che l' oggi restasse oggi senza domani 
o domani potesse tendere all' infinito 

e lo vorrei 
perchè non sono quando non ci sei 
e resto solo coi pensieri miei ed io...