martedì 8 maggio 2012

Elegie Duinesi III, frammenti e finale



Una cosa è cantare l’amata. Un’altra, ahimè,
quell’occulto, colpevole Dio-fiume del sangue.
Quello che lei riconosce da lontano, il suo ragazzo, anche lui
che ne sa del Signor del piacere, che sovente da lui solitario
prima ancora che lei placasse, spesso come se neanche esistesse 
levava il capo divino,

gocciolante di chissà che imperscrutabile
per chiamare la notte a tumulto infinito.
[...]
Non gli viene da te, ahimè, né da sua madre
quello spasmo d’attesa che è nell’arco delle sue sopracciglia.
[...]
Credi davvero che l’abbia scosso così il tuo apparire
leggero, tu che vai come la brezza al mattino?
Certo gli turbasti il cuore, ma turbe più antiche
si scatenarono in lui all’urto di quel tocco.
[...]
Vedi, noi non amiamo come i fiori, attingendo
da un’annata soltanto; a noi, quando amiamo,
sale alle braccia un’immemorabile linfa. O fanciulla,
è così: noi non amiamo in noi un essere solo, futuro, ma
l’immenso fermento; non un singolo figlio,
ma i padri, che come frane di monte
posano al fondo nostro, ma l’arido greto
di madri d’un tempo – ma tutto
il muto paesaggio sotto il Destino
nuvoloso o limpido - ; questo, fanciulla, era prima di te.
E tu, tu che ne sai - tu suscitasti
tempi remoti nell’innamorato. Quali mai sentimenti
eruppero da esseri scomparsi. Quali mai
donne ti odiarono allora. Quali uomini cupi

eccitasti nelle vene del giovane? …Oh piano, piano,
fa’ qualcosa che gli sia cara, un fido lavoro giornaliero -
accompagnalo
per il giardino, e in più,
dagli le notti,…
trattienilo…"
 

RAINER MARIA RILKE,  Elegie Duinesi III, frammenti e finale




Nessun commento:

Posta un commento