martedì 9 ottobre 2012

DIARIO FIORENTINO | RAINER MARIA RILKE


Notturno fiorentino, Ph Bernardo Ricci Armani

Solo un poeta poteva parlare di arte come se fosse un essere umano, attribuendogli calore e, direi quasi, sentimenti. Leggendo quest’opera accompagniamo Rainer Maria Rilke nelle sue passeggiate tra i monumenti di Firenze, ci fermiamo quando si ferma lui, ci emozioniamo quando si emoziona lui. L’uso potente della metafora, che il poeta, nonostante la giovane età, già sa sfruttare nelle descrizioni di palazzi e quadri, riesce quasi a farci respirare l’aria che stava respirando lui.
Siamo nel 1898 e Rilke, poco più che ventenne, scrive questo diario di viaggio per dedicarlo ad Andrea Lou-Salomé, la donna di cui era innamorato e a cui voleva dimostrare la propria evoluzione artistica: rapporto impari, considerando che la Salomé, più anziana di lui di quattordici anni, e all’epoca è già ritenuta un’esponente di spicco della cultura europea. Rilke se ne innamora, e al ritorno da questo viaggio in Italia vuole dimostrarle quanto è maturato e reso più degno di lei facendole leggere il diario. Il divario tra le due personalità, dal punto di vista artistico e culturale, secondo Rilke comunque non si colma:

"per lontano che possa andare, tu sei sempre davanti a me. Le mie battaglie sono per te da tempo diventate vittorie"

Ad ogni modo Diario fiorentino mostra la concezione del poeta sull’arte, vista come “cammino verso la libertà”, come unico mezzo lecito per aumentare davvero la propria Cultura, con la “C” maiuscola, quella che coinvolge l’uomo in tutti i suoi aspetti, non solo nozionistici, ma anche più strettamente umani. Un vero e proprio “travaglio” d’artista che cerca se stesso.
Un diario che fonde l’interiorità di chi lo scrive con l’ambiente che lo circonda, ma che non perde mai di vista la lettrice destinataria di queste riflessioni, quasi una dea a cui ci si rivolge non solo per indirizzarle preghiere, ma anche per renderla partecipe dei propri moti interiori. Salomè, in quanto donna, è vista dal poeta come una creatura privilegiata rispetto all’artista in generale perché nella maternità può trovare se stessa nell’atto supremo della creazione: non più opere letterarie, ma esseri umani. Singolare, visto che Lou non sarà mai madre. [Recensione dal web]





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