LE TRASFORMAZIONI DI PICTOR
Gustav Klimt, L'albero della vita
"Vorrei trovare una espressione della dualità,
perchè in questo per me consiste la vita,
nel fluttuare tra due poli.
Vorrei far vedere la varietà del mondo
e ricordare che al fondo della varietà vi è una unità."
"Vorrei trovare una espressione della dualità,
perchè in questo per me consiste la vita,
nel fluttuare tra due poli.
Vorrei far vedere la varietà del mondo
e ricordare che al fondo della varietà vi è una unità."
Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinanzi ad un albero che era insieme uomo e donna. Pictor salutò l’albero con reverenza e chiese: "Sei tu l’albero della vita?". Ma quando, invece dell’albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre.
Era tutt'occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita. E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna. Pictor chiese:" Sei tu l’albero della vita?" Il sole annuì e la luna sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e di luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi.
Alcuni annuivano e ridevano, altri non annuivano e non sorridevano, ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro profumo si fondevano. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro ricordava il primo amore. Tra tutti questi fiori Pictor stava pieno di struggimento e di gioia inquieta e il suo cuore batteva forte, batteva tanto, il suo desiderio ardeva verso l’ignoto, verso il magicamente prefigurato.
Pictor scorse un uccello sull'erba posato, ammantato di luminosi colori e all’uccello variopinto chiese: "Uccello dove è la felicità?". "La felicità?", disse il bell'uccello e rise con il suo becco dorato: "la felicità, amico, è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli".
Con queste parole l’uccello spensierato scosse le piume, allungò il collo, agitò la coda, socchiuse gli occhi ed ecco era diventato un fiore, e subito l’uccello-fiore variopinto, nella gloria dei colori si era fatto pianta, le piume si erano trasformate in foglie, le unghie in radici.
E subito il fiore-uccello cominciò a muovere le foglie e i pistilli, già era stanco dei suoi pistilli e scuotendosi un po' si innalzò e fu una splendente farfalla che si cullò nell'aria.
Ma l’allegra farfalla, fiore, uccello, scese a terra lieve come un fiocco di neve e si trasformò in un cristallo che irradiava luce rossa.
Pictor prese la pietra e la tirò a sè, strisciando dall’albero il serpente gli sibilò: "La pietra ti trasforma in quello che vuoi, presto, chiedile il tuo desiderio. Pictor si spaventò e temette di veder svanire la sua fortuna. Rapido disse la parola e si trasformò in albero, giacchè più di una volta aveva desiderato essere albero, perchè gli alberi gli apparivano così pieni di pace, di forza e di dignità.
Pictor divenne albero, penetrò con le radici nella terra e si allungò verso l’alto. Era contento. Passarono molti anni prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Vide infatti che intorno a lui nel Paradiso, gran parte degli esseri si trasformava assai spesso, che tutto scorreva in un flusso di perenni trasformazioni. Lui, invece, l’albero Pictor, non poteva più trasformarsi.
Da quel momento la sua felicità svanì e iniziò ad invecchiare. Assunse un aspetto serio e afflitto, che si può osservare anche negli uccelli, negli esseri umani e in tutti gli esseri, quando non posseggono il dono della trasformazione, tanto che perdono ogni bellezza.
Un bel giorno una fanciulla si perse in paradiso, cantando e ballando correva tra gli alberi: non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione.
Quando si appoggiò all’albero Pictor, egli sentì un desiderio di felicità ed era come se il suo stesso sangue gli dicesse: "Ritorna in te! Ricordati di tutta la tua vita, trovane il senso, altrimenti sarà tardi." Rammemorò i suoi anni di uomo, il suo cammino in Paradiso e quell’istante in cui aveva avuto in mano la pietra fatata. La fanciulla si sentiva attratta dall’albero. Esso le appariva bello, forte e solitario, nobile nella sua muta tristezza. Ella si appoggiò e iniziò a piangere. Perchè doveva soffrire così e il suo cuore voleva spaccarle il petto e andare a fondersi con lui?
Venne l’uccello e la fanciulla vide cadere un rubino e appena lo prese si avverò il suo desiderio. La bella fu presa, svanì e divenne tutt’uno con l’albero, si affacciò al suo tronco come giovane ramo. Ora tutto era a posto, solo ora era stato trovato il paradiso, Pictor non era più un vecchio albero intristito: ora cantava forte Pictoria, Vittoria.
Era trasformato, e poichè aveva raggiunto la vera, l’eterna trasformazione, poichè da metà era divenuto un tutto, da quel momento potè continuare a trasformarsi quanto voleva.
Divenne capriolo, divenne pesce, divenne uomo e serpente, nuvola e uccello. Ma in ogni forma era intero, era coppia, aveva in sè luna e sole, uomo e donna, scorreva come fiume gemello per le terre, stava come stella doppia in cielo.
Questa "Favola d’amore " di Herman Hesse rappresenta qualcosa di vissuto e non di inventato. L'autore, che fu in analisi dal Dott.Jung, la dedicò alla cantante mozartiana Ruth Wenger, nel 1922, poco dopo aver scritto Siddharta.
La favola parla della conoscenza, che, per colui che la possiede realmente, non è nulla di verbale, bensì realtà vissuta, che permette all’uomo di accedere ad un superiore piano di consapevolezza che comprende tutti i precedenti. Ma Pictor, non ancora pronto a comprendere l’esempio dell’uccello fiore farfalla mutante, assume dall’esterno la felicità, e scambia la libertà di una perenne trasformazione, di una tensione continua della vita, per una quiete, un incanto raggiunto una volta per tutte.
Pictor rappresenta l'eroe che nel suo percorso deve calarsi nella staticità del reale, per apprezzare il valore del divenire. Ma chi cresce e si fa consapevole impara - scrive Hesse - "a non desiderare essere altro di ciò che egli è. Questa è patria e felicità". Abbiamo bisogno di peccare, di uscire dall'Eden e riconoscere che la stasi è la nostra morte e ci rende vecchi e tristi, perchè ci spegne.
Ma i nostri goffi tentativi di bloccare il flusso vitale, non portano frutto e ci spingono a trovare tutto dentro di noi, a farci interi, in una unione di opposti umana ed universale insieme, per recuperare il fremito della vita che vuole solo essere percepita, da ognuno, come una favola d'amore.
H.Hesse, da "Favola d'amore" edizioni Fiabesca
Nessun commento:
Posta un commento