Profondamente sospirò e si gettò – c’era nei suoi gesti una passione che merita la parola – sul nudo suolo ai piedi della quercia. Godeva nel sentire, sotto l’effimera apparenza dell’estate, la spina dorsale della terra; ché tale era per lui la dura radice della quercia, oppure – l’immagine seguendo l’immagine – era il dorso d’un gran destriero che cavalcava; o la tolda di una nave in preda alle onde; qualsiasi cosa, insomma, purché solida, poiché egli anelava a qualche cosa cui ormeggiare il suo fluttuante cuore; quel cuore che ogni sera in quella stagione, quando s’aggirava per le campagne, pareva ricolmo di aromatiche e languide sensazioni d’amore. Alla quercia egli lo legò, e, standosene così disteso, a poco a poco il pulsare scomposto, entro di lui e intorno, si calmò; sostarono sospese le esigue foglie, si fermò il daino; si arrestarono le pallide nuvole d’estate; le membra gli si appesantirono sul suolo; e giacque così immoto che passo passo il daino s’appressò, le cornacchie roteando scesero sul suo capo, le rondini si tuffarono e volteggiarono, il sussurro delle libellule lo sfiorò, quasi tutta la fertilità e il tripudio d’amore della sera d’estate tessessero la propria trama intorno al suo corpo.
Nessun commento:
Posta un commento