Stasera mi sento Selene. La luna sfarina la notte che lievita nera insonnia e sbriciola le stelle. Bagna pensieri instabili fasi lunari di una nascosta stabilità. Il mio colore è il bianco che si avvolge nell’idealismo pietrificato delle lunari valli. La mia pietra è la perla negli abissi marini che meglio riflette i lunari raggi. Sono in perenne sospensione tra il visibile e l'invisibile. Vivo senza gravità, disconosco [ma amo] il sole. PB
Quando le ferite si aprono vien voglia di gridare!...mi viene in mente Eliot...e allora le parole si tendono si lacerano e talora si spezzano sotto il peso sotto la tensione. Incespicano scivolano muoiono. Imputridiscono per imprecisione. Non vogliono stare al proprio posto non vogliono restare ferme... [Myself]
al quale giungemmo in sonno, ad ogni altro ignoto.
Presso il noce la neve attendevo,
sotto il pino la pioggia e il gelo.
E la magnolia ci abbracciava
sotto i caldi pergolati,
tra il sole tiepido la sua foglia
sussurra vagiti d'amore Li' ti ho atteso Li' ora siamo Il tempo si e' fermato Quando migrasti con il volo degli uccelli Rifletti ormai, ti imbarazzo' la pioggia
Aveva sentito pronunciare solennemente sulla scena e dai pulpiti il nome delle passioni di amore e di odio, lo aveva trovato solennemente scritto nei libri e si era domandato come mai la sua anima era incapace di accogliere quelle passioni per una qualunque durata o di sforzare le labbra a pronunciarne con convinzione i nomi. Una breve ira lo aveva spesso invaso, ma non era mai riuscito a farne una passione duratura e gli era sempre sembrato di sentirsene uscire fuori come se il suo corpo si stesse spogliando con facilità di una qualche pelle o buccia. Aveva sentito una presenza sottile, cupa e mormorante penetrare in lui e infiammarlo di una rapida e peccaminosa libidine: ed anch’essa gli era scivolata via inafferrabile, lasciandogli la mente lucida e indifferente. Questo, gli pareva, era tutto l’amore e tutto l’odio che la sua anima sapesse accogliere.
"Era matto e solo matto, è stato scambiato da molti per un vero poeta". Questo giudizio senza appello su Dino Campana e sulla sua poesia è firmato Umberto Saba. Piero Santi, uno scrittore fiorentino che lavorava alla radio, una volta con Saba ci litigò. Campana, gli disse, «è il maggior poeta italiano moderno». Era un colpo basso, una classifica improvvisata per umiliare Saba. Si sa che i poeti o si amano molto o non si amano affatto. Campana, per esempio, detestava Palazzeschi: «Questa lettera è insulsa come una poesia di Palazzeschi», scrisse al giornalista Aldo Orlandi nel novembre del '17, ma già altre volte era stato velenoso. In una letteraccia del maggio 1913 scritta su carta da pacchi color lilla indirizzata a Papini dopo la lettura di un numero di Lacerba (la rivista che Papini dirigeva) lo invitava a licenziare l'intera redazione. «Il vostro giornale è monotono, molto monotono: l'immancabile Palazzeschi, il fatale Soffici» e lo invitava a chiedere qualcosa a Marinetti «che è un ingegno superiore» non senza avergli ricordato di aver inviato al giornale un suo «bozzetto meraviglioso di un'arte veramente nuova» cestinato certo per invidia. Ma poche righe prima aveva scritto: «La vostra speranza sia: fondare l'alta coltura italiana. Fondarla sul violento groviglio delle forze delle città elettriche, sul groviglio delle selvagge anime del popolo, del vero popolo, non di una massa di lecchini, finocchi, camerieri, cantastorie, saltimbanchi, giornalisti e filosofi come siete a Firenze». Del resto scrivendo a Emilio Cecchi nel marzo del 1916, Campana riassume la vicenda della perdita del prezioso manoscritto, per cui aveva minacciato di accoltellare i responsabili, e dichiara: «Posso provare che Papini e Soffici sono ladri spie venduti e vigliacchi soprattutto. Questo l'ho scritto a loro 4 o 5 volte e parlando di loro ordinariamente non uso mai altri termini». E Cecchi replica: «Chi ha avvicinato Papini è sempre rimasto colpito... dalla commercialità e dal cinismo del suo tratto».
Non le mandava a dire Dino Campana. Ma bisogna leggere il Carteggio 1903-1931 ora pubblicato da Polistampa col titolo Lettere di un povero diavolo per rendersi contodell'intelligenza e della irrequietezza del poeta di Marradi. Un caso davvero singolare, che il curatore del volume, Gabriel Cacho Millet, studia da oltre trent'anni senza nulla trascurare, neppure il segnale o l'interlocutore più remoto, nella speranza di aggiungere un tassello ad una biografia tormentata e straordinaria, al punto da sembrare, certe volte, un'invenzione decadente. D'altra parte Carlo Pariani, lo psichiatra che ebbe in cura Campana nel manicomio di Castel Pulci fu indotto anche lui a scrivere, come si sa, una biografia "non romanzata" del poeta, frutto dei colloqui avuti con il suo non facile paziente, che del resto soffriva da tempo di crisi nervose e di eccitazione. Scrivendo al direttore del manicomio di Imola, dove Campana era stato ricoverato nel 1906, il padre, il maestro elementare Giovanni Campana, dopo aver ricordato d'essere ricorso anche lui alle sue cure per disturbi nevrastenici, raccontava che il figlio Dino aveva cominciato fin dal 1900 «a dare prova d'impulsività brutale, morbosa» specialmente nei confronti della madre. Il direttore del manicomio, Raffaele Brugia, rispose al padre, dicendogli che dopo due mesi di assidua osservazione gli confermava che Dino è "uno psicopatico grave" e tuttavia acconsentiva a dimetterlo su richiesta del padre stesso che però doveva assumersi ogni responsabilità su quello che poteva accadere. Molte di queste lettere si conoscevano e mancano qui le lettere del bollente carteggio d'amore con Sibilla Aleramo, più volte ristampato. Ma vi sono , per esempio, alcune lettere inedite degli anni Cinquanta di Manlio Campana, il fratello minore di Dino, dalle quali veniamo a sapere che quando Dino era andato in Argentina, doveva lavorare presso una farmacia, essendo studente del quarto anno in quella disciplina. Appena sbarcato, però, fece perdere le sue tracce e il farmacista scrisse al padre di Dino, rammaricandosi dell'accaduto. Una prova in più che testimonia la veridicità di quel viaggio che a qualcuno (per esempio Ungaretti) era sembrato un'invenzione.
Le lettere consentono anche di seguire l'attività letteraria di Dino, presto entrato in contatto con Mario Novaro, direttore della Riviera Ligure, una rivista liberty nata in seno all'industria dell'olio Sasso e da foglio pubblicitario presto trasformata in rivista di letteratura. Rispetto a quasi tutte le riviste italiane, la Riviera aveva un pregio: pagava e dunque poté presto vantare collaboratori illustri. Ma Novaro, che era anche lui poeta, come il fratello Angiolo Silvio, era aperto alle esperienze dei giovani e dunque Campana approdò su quelle pagine, scrivendo anche lettere al signor Geribò. Geribò era un'invenzione di Novaro: per togliersi d'impiccio s'era inventato un amministratore con questo nome, ma ad un certo punto dichiarò che forse era meglio farlo morire. A Novaro, Campana chiedeva anche aiuto per andarsene in Francia. L'andar via, l'altrove sarà sempre un segno distintivo del vagabondare del poeta: lo troviamo a Genova, in Svizzera, in Francia, in Argentina... Sapeva diverse lingue e in più occasioni si era offerto come traduttore. Non ebbe, neppure all'estero, vita facile: fu arrestato, messo in carcere e in manicomio.
C'è il rischio, qualcuno obietterà, che tutto questo materiale biografico faccia prevalere il personaggio Campana sul poeta Campana, ma è un rischio che ormai corriamo da un secolo buono. Parecchi anni fa, era il 1984, Sebastiano Vassalli scrisse un romanzo, La notte della cometa, ispirato a Dino Campana, «il mio babbo matto». «Sono quattordici anni», scriveva Vassalli, «che ricerco la verità della vita di Dino Campana». Compito non facile: e lo sanno i suoi lettori. Nel 1960 Enrico Falqui pubblicò presso Vallecchi gli inediti del Taccuinetto faentino che erano stati ritrovati dal fratello Manlio e trascritti da Domenico De Robertis. All'inizio degli anni Settanta dalla carte Soffici saltò fuori il famoso manoscritto dei Canti Orfici perduto mezzo secolo prima, poi ricostruito a memoria e variato da Campana stesso per la pubblicazione. Insomma, con Campana il conto è sempre aperto e ogni volta lo si rilegge con doloroso piacere.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non
avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo.
Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e
tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non
avessi amore, non sarei nulla.
Se distribuissi tutti i miei
beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi
amore, non mi gioverebbe a niente.
L'amore è paziente, è
benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia,
non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio
interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode
dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa,
crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni
cosa. L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno
abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita;
poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo;
ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in
parte, sarà abolito.
Quando ero bambino, parlavo da bambino,
pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho
smesso le cose da bambino. Poiché ora vediamo come in uno
specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in
parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente
conosciuto. Ora dunque queste tre cose durano: fede,
speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.
La mia donna dalla capigliatura di fuoco di legna Dai pensieri di lampi di calore Dal busto di clessidra La mia donna dal busto di lontra fra i denti della tigre La mia donna dalla bocca di coccarda e di mazzo di stelle d’ultima grandezza Dai denti d’impronte di topi bianchi sulla terra bianca Dalla lingua d’ambra e vetro strofinati La mia donna dalla lingua d’ostia pugnalata Dalla lingua di bambola che apre e chiude gli occhi Dalla lingua di pietra incredibile La mia donna dalle ciglia come aste di scrittura di un bambino Dalle sopracciglia d’orlo di un nido di rondine La mia donna dalle tempie d’ardesia d’un tetto di serra E di vapore sui vetri La mia donna dalle spalle di champagne E di fontana a teste di delfini sotto il ghiaccio La mia donna dai polsi di fiammiferi La mia donna dalle dita d’azzardo e d’asso di cuori Dalle dita di fieno tagliato La mia donna dalle ascelle di martora e di faggine Di notte di San Giovanni Di ligustro e nido di scalarie Dalle braccia di schiuma marina e di chiusa E di miscela del grano e del mulino La mia donna dalle gambe di razzo Dai movimenti d’orologeria e disperazione La mia donna dai polpacci di midollo di sambuco La mia donna dai piedi d’iniziali Dai piedi di mazzi di chiavi dai piedi di calafati che bevono La mia donna dal collo d’orzo perlato La mia donna dalla gola di Val d’Or Di appuntamento nel letto stesso del torrente Dai seni di notte La mia donna dai seni a monticello di talpa marina La mia donna dai seni di crogiolo del rubino La mia donna dai seni di spettro della rosa sotto la rugiada La mia donna dal ventre come l’apertura a ventaglio dei giorni Dal ventre d’artiglio gigante La mia donna dal dorso d’uccello che fugge in verticale Dal dorso d’argento vivo Dal dorso di luce Dalla nuca di pietra rotolata e di gesso bagnato E di caduta d’un bicchiere nel quale si è appena bevuto La mia donna dalle anche di navicella Dalle anche di lampadario e penne di freccia E steli di piume di pavone bianco Di bilancia insensibile La mia donna dalle natiche d’arenaria e d’amianto La mia donna dalle natiche di dorso di cigno La mia donna dalle natiche di primavera Dal sesso di gladiolo La mia donna dal sesso di terra aurifera e d’ornitorinco La mia donna dal sesso d’alga e di caramelle d’un tempo La mia donna dal sesso di specchio La mia donna dagli occhi pieni di lacrime Dagli occhi di panoplia viola e d’ago calamitato La mia donna dagli occhi di savana La mia donna dagli occhi d’acqua da bere in prigione La mia donna dagli occhi di legno sempre sotto la scure Dagli occhi di livello d’acqua di livello d’aria di terra e di fuoco
“L’union libre”. Scritta e pubblicata anonima nel 1931. Ripresa nella raccolta: La revolver à cheveux blanc (1932).
Il cellulare trillo' stonato. Dopo un attimo di esitazione ed imbarazzo, l'uomo si allontano' incauto dalla sua donna, in quel pomeriggio affollato di fine dicembre, mentre passeggiavano intrecciando mani sguardi e sorrisi in quella strada di lastrici che porta alla chiesa romanica. E, cambiando modulazione della voce e mimetica del volto, come un camaleonte in piena mutazione, inizio' a parlare... "...In viaggio con il figlio, simbolico, come Tobino..." disse alla donna che lo aveva chiamato, accennando anche all'antica madre da accudire. Questo riusci' a sentire nel dolore la sua donna...ma fu abbastanza perche' la ferita inflitta come lama di cristallo squarciasse il cielo sbriciolando le stelle una ad una. Ma continuo' a dare imperativo sorriso ai suoi occhi nonostante il cuore sanguinasse. La sera dopo avrebbero salutato l'arrivo del nuovo anno insieme...E poi il resto di questo breve ma lungo racconto immaginario alla fantasia di chi legge. (30.12.2011)
Leonardo dda Vinci, in mostra alla National Gallery, Londra
9 Novembre 2011 - 8 Febbraio 2012
Painter at the Court of Milan’ is the most complete display of Leonardo’s rare surviving paintings ever held. This unprecedented exhibition – the first of its kind anywhere in the world – brings together sensational international loans never before seen in the UK.
Leonardo the artist
While numerous exhibitions have looked at Leonardo da Vinci as an inventor, scientist or draughtsman, this is the first to be dedicated to his aims and techniques as a painter. Inspired by the recently restored National Gallery painting, The Virgin of the Rocks, this exhibition focuses on Leonardo as an artist. In particular it concentrates on the work he produced as court painter to Duke Lodovico Sforza in Milan in the late 1480s and 1490s.
As a painter, Leonardo aimed to convince viewers of the reality of what they were seeing while still aspiring to create ideals of beauty – particularly in his exquisite portraits – and, in his religious works, to convey a sense of awe-inspiring mystery.
Works on display
Featuring the finest paintings and drawings by Leonardo and his followers, the exhibition examines Leonardo’s pursuit for perfection in his representation of the human form. Works on display include ‘La Belle Ferronière’ (Musée du Louvre, Paris), the ‘Madonna Litta’ (Hermitage, Saint Petersburg) and ‘Saint Jerome’ (Pinacoteca Vaticana, Rome).
The two versions of Leonardo’s ‘Virgin of the Rocks’ – belonging to the National Gallery and the Louvre – will also be shown together for the first time.
The final part of the exhibition features a near-contemporary, full-scale copy of Leonardo’s famous ‘Last Supper’, on loan from the Royal Academy. Seen alongside all the surviving preparatory drawings made by Leonardo for the 'Last Supper', visitors will discover how such a large-scale painting was designed and executed. [From an extract of The National Gallery, London]
Portrait of Cecilia Gallerani (The Lady with an Ermine)', about 1489-90. Property of the Czartoryski Foundation in Cracow on deposit at the National Museum in Cracow Princes Czartoryski Foundation