[…]
Questo mestiere brucia
con rabbia primavere, tenerezze,
rifugi. Ciò che spargi è cenere:
guardo ora il viso di mia madre
seppellire quello assorto e immobile
di mio padre, senza cedere luce,
senza perderne traccia.
*
Per dirti ora, questa metrica che
misura l‟arsura. È come stare in
piedi nella morte, tra i cardini
di una porta;
e questa è la forza che mi conserva,
destino di chiodi e tiranti stesi
sul marmo dove mio padre riposa.
*
Dove più fresca bacia
i cancelli la luce
è solo acciaio e lance
affilate. Brusio di vespe tra le siepi,
miele nero nelle tasche.
*
La sete scomposta di precisione:
*
La sete scomposta di precisione:
come provare misure sul muro,
da bambini. Non per la crescita ma
se mai siamo all’altezza della morte.
*
Da anni e pietre cresce una polvere
dura che deposita gli intonaci
negli stomaci ciechi dei braccianti.
Le bisce si fanno grumo di calce
smossa sotto alle assi, grida rauche
di un percorso segnato tra i filari.
Viene la mano che cava i bulbi
dalla terra e li scuote dal torpore:
lavori consueti, moniti chiari.
Io mi nascondo qui, a pochi passi
dalla selva di ortiche recise
dove si sente odore di fresco, di
fossi: ci separano
gli orti, i cumuli fragranti di fieno,
le botti scure, i tralci.
Si viene a vedere
ciò che dura nell’arsura.
Poesie di Andrea Ponso
tratte da “I ferri del mestiere” (Lo Specchio Junior 2011, Mondadori ed.)
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